L’espressione “wind chill” significa letteralmente “vento fresco”, e si usa per indicare, in particolari condizioni meteo, il forte raffreddamento da vento. È molto importante ai fini della valutazione del rischio di ipotermia, ovvero il raffreddamento interno del nostro corpo: di solito la nostra temperatura interna è sui 36-37 gradi; se scende a 33 – 34 gradi inizia un’ipotermia moderata, con rallentamento di tutte le funzioni vitali e rischio di perdita dei sensi; ma basta scendere a 31 – 32 gradi per rischiare il coma e, addirittura, la morte.
Ecco perché le persone più a rischio, come gli anziani e i bambini piccoli, ma anche gli escursionisti di alta montagna sorpresi dal maltempo, devono fare tutto il possibile per proteggersi dall’ipotermia.
In una certa misura, se la temperatura è sotto zero, l’effetto wind-chill (quindi, il vento) incide anche sul rischio di assideramento, cioè di congelamento con conseguente necrosi (morte) dei tessuti. Facciamo due conti rapidi: se la temperatura (da termometro) è a -10 gradi con vento a 50 km orari, il corpo si raffredda ben più rapidamente rispetto ad un ambiente sempre a -10 gradi, ma in assenza di vento.
Solo gli esseri viventi, in conclusione, subiscono l’effetto “wind-chill”, perché percepiscono il fatto che il vento fa raffreddare i loro corpi più rapidamente, e quindi è come se facesse più freddo rispetto alla temperatura reale.
Nella fattispecie della nostra regione, i massimi di raffreddamento da vento si hanno sempre esclusivamente in inverno e in due condizioni:
- Irruzione di aria polare continentale (bora), con forti raffiche da est; è molto raro, ma in casi estremi (dicembre 2001, febbraio 2012) può soffiare fino a 70 km/h con temperature prossime alle 0.
- Furiosi venti da nord (fohn), che comunque è un vento mite, ma quando è tempestoso e in pieno inverno fa raffreddare moltissimo gli strati del corpo non coperti.